Oceani per la cattura di CO2

Un nuovo rapporto della National Academies of Sciences valuta la fattibilità, i costi e gli impatti potenziali delle strategie per aumentare il coefficiente di assorbimento dell’anidride carbonica negli oceani e individua metodi per intrappolarla negli abissi durante secoli. Tra le opzioni, la coltivazione di alghe e l’aggiunta fosforo e azoto per creare fioriture di fitoplancton.

 

Più del 90% dell’effetto serra viene mitigato dall’assorbimento di energia da parte della superficie degli oceani. Un dato che permette di comprendere la centralità del loro ruolo nella lotta contro il cambiamento climatico, promuovendoli i nostri più preziosi alleati dal momento che occupano il 75% della superficie planetaria. 

Lo confermerebbero i dati di una nuova ricerca condotta negli Stati Uniti, da cui è stato possibile valutare meglio i potenziali rischi e benefici della cattura dell’anidride carbonica atmosferica utilizzando l’oceano come pozzo di sequestro della CO2, ad esempio coltivando alghe su larga scala o manipolando i nutrienti nell’acqua di mare.

Lo studio, a cura del Committee on a Research Strategy for Ocean Carbon Dioxide Removal and Sequestration e pubblicato dalla National Academies of Sciences, Engineering and Medicine, è stato condotto con l’obiettivo di saperne di più su come questi metodi potrebbero essere utilizzati per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici.

Posto che oggi i livelli di emissioni di CO2 superano di gran lunga la possibilità di limitare in futuro il surriscaldamento globale a +1,5 C° con le attuali tecnologie, la sola riduzione delle emissioni di carbonio potrebbe non essere sufficiente per stabilizzare il clima. 

In un rapporto della National Academies del 2019 si evidenzia infatti che per raggiungere gli obiettivi climatici, le tecnologie e le strategie di rimozione dell’anidride carbonica dovranno essere abbastanza evolute per riuscire catturare circa 10 gigatonnellate di CO2 ogni anno entro il 2050. Una quantità al momento impensabile.

Ancora non sono chiari gli impatti che lo stoccaggio oceanico di CO2 può avere sulla salute degli ecosistemi, non si conoscono a sufficienza i rischi e i benefici dell’attuazione di interventi di cattura della CO2 in mare. Motivo per cui il nuovo rapporto sensibilizza su un programma di ricerca da 125 milioni di dollari per comprendere meglio le sfide, compresi i potenziali impatti economici e sociali, esaminando le interazioni tra le metodologie di cattura della CO2 negli oceani con altre tecnologie volte alla mitigazione dei cambiamenti climatici.

Il comitato scientifico che ha redatto lo studio ha anche valutato sei approcci specifici, con l’obiettivo di raccogliere le informazioni necessarie “per valutare gli impatti di questi interventi” si legge nel comunicato della National Academies of Sciences. 

 Sono stati individuati 5 sistemi per la cattura dell’anidride carbonica nell’oceano. Analizziamoli uno ad uno:

 

Fertilizzazione dei nutrienti

L’aggiunta di nutrienti come il fosforo o l’azoto sulla superficie dell’oceano stimolerebbe la fotosintesi del fitoplancton, aumentando così l’assorbimento di CO2 e il trasferimento di carbonio nelle profondità degli abissi, dove può rimanere per un secolo o più. Il rapporto afferma che questo metodo sarà efficace e scalabile, con rischi ambientali medi e bassi costi.

 

Spostamenti in superficie e in profondità delle masse d’acqua. 

L’idea di spingere in superficie acque profonde più fresche, più ricche di nutrienti, permetterebbe al fitoplancton di assorbire con maggior efficacia l’anidride carbonica dalla superficie. Con il movimento opposto l’acqua di superficie e il carbonio verrebbero trasferiti nell’oceano profondo. Un metodo che comporta rischi ambientali medio-alti, con costi elevati e complessità per la parte relativa al conteggio del carbonio catturato. 

 

Coltivazione di alghe 

Secondo il rapporto, l’allevamento di alghe su larga scala consente di intrappolare il carbonio nei sedimenti marini. Il metodo avrebbe un’efficacia discreta per rimuovere la CO2 atmosferica, ma comporterebbe rischi ambientali medio-alti. Il rapporto stima che saranno necessari 130 milioni di dollari da destinare alla ricerca per studiare e mettere a punto le tecnologie per l’agricoltura marina e valutare gli impatti ambientali a lungo termine dovuti alla biomassa delle alghe.

 

Recupero dell’ecosistema

La protezione e il ripristino degli ecosistemi costieri e la salvaguardia delle specie ittiche, oltre che dei cetacei, garantirebbe di per sé un maggior assorbimento di carbonio, un approccio al problema della CO2 che, secondo il rapporto, risulterebbe poco efficace, comportando però molti meno rischi ambientali rispetto agli altri sistemi presi in esame. 

 

Miglioramento dell’alcalinità dell’oceano

Diminuire l’acidificazione delle acque attraverso un processo volto ad aumentare l’alcalinità dell’oceano al fine di migliorare le reazioni per assorbire la CO2 è un’altra delle possibili soluzioni. Il miglioramento dell’alcalinità degli oceani comporterebbe rischi ambientali di media entità e costi medio-alti. Si stima da 125 a 200 milioni di dollari per la ricerca prioritaria, compresi esperimenti sul campo e in laboratorio per esplorare l’impatto sugli organismi marini.

 

Tutto molto interessante, ma sul piano normativo e dallo studio di fattibilità di questi sistemi le cose potrebbero non funzionare: l’accordo di Parigi fornisce indicazioni chiare sulla cattura dell’anidride carbonica facendo riferimento ai pozzi di assorbimento del carbonio. Ma altri trattati, come la Convenzione sulla diversità biologica, prescrivono limiti sulla geoingegneria dei mari. Affinché i diversi sistemi abbiano successo la CO2 sequestrata dovrebbe finire sul fondo marino a oltre 1.000 metri di profondità con il rischio che altrimenti torni nell’atmosfera. 

 

 

 

 

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