Addio al carbone: i portoghesi ce l’hanno fatta. Autorizzata a funzionare fino al 30 novembre, la centrale di Pego ha spento i forni per sempre. Era l’ultimo stabilimento del Paese ancora in funzione. Sorgono incertezze però sul futuro del sito, le ipotesi sono diverse; l’impianto, da 682 megawatt, potrebbe essere riconvertito in una fabbrica di pannelli solari o di veicoli elettrici e, nel peggiore dei casi, in una centrale a biomassa. In tutto sono 21 i Paesi europei che si stanno avviando verso la fine dell’era del carbone. A marzo era stato spento il 162esimo impianto in Europa su un totale di 324.
Il Portogallo è il quarto Paese europeo dopo Belgio, Austria e Svezia ad aver abbandonato l’uso del carbone nella produzione di energia elettrica. Lo ha annunciato l’associazione ambientalista Zero che spera ora in un’alternativa migliore per il Paese rispetto a quella di bruciare biomasse, anch’esse responsabili di immettere CO2 nell’atmosfera.
«Il futuro dell’impianto di Pego non deve prevedere la combustione di biomasse, un’opzione inefficiente che mette in discussione obiettivi più ambiziosi per la mitigazione dei cambiamenti climatici», ha affermato l’organizzazione, in una nota. Già dalla scorsa settimana la Pego Power Station ha esaurito le scorte di carbone, nonostante fosse stata autorizzata a funzionare fino al 30 novembre.
Con lo spegnimento della centrale termoelettrica di Pego, a circa 150 km a nord-est di Lisbona, Endesa ha messo i sigilli all’ultimo impianto del paese che faceva ancora uso di carbone.
Per l’associazione Zero si tratta di un evento storico che anticipa gli obiettivi inizialmente fissati per il 2030, un esempio da seguire sulla necessità di «pianificare e garantire una transizione energetica equa per il Paese verso la neutralità carbonica nel 2050 o, si spera, prima».
La cessazione dell’uso del carbone nella produzione di energia elettrica è un elemento cruciale della decarbonizzazione, un argomento che è salito alla ribalta durante la conferenza sul clima di Glasgow (COP26), e che ha suscitato molte polemiche, con alcuni paesi – tra cui Polonia e Bulgaria solo per rimanere in Europa – che si sono rifiutati di porre fine all'utilizzo di questo combustibile.
Complice in questi ultimi mesi un mercato del gas estremamente ristretto, la produzione di energia elettrica dal carbone è in aumento in Europa, nonostante il prezzo record del carbonio che si prevede raggiungerà i 62 euro per tonnellata nel 2022, secondo analisti della Reuters. Nonostante questi prezzi da record delle quote di carbonio, l’uso del carbone per la produzione di energia è aumentato fino al 15%.
In questo scenario la scelta del Portogallo sembra andare in controtendenza e assumere un livello di responsabilità superiore rispetto ad altri Paesi europei. L’impianto a carbone di Pego, responsabile del 4% delle emissioni del Paese, è stato il secondo impianto con il maggior peso in termini di emissioni di anidride carbonica in Portogallo nell’ultimo decennio, dopo la centrale termoelettrica di Sines, chiusa a gennaio di quest’anno. In termini assoluti, l’emissione media annua di gas serra dell’impianto di Pego tra il 2008 e il 2019 è stata di 4,7 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Con il ritiro ormai completato delle due centrali a carbone, il Portogallo dovrebbe registrare un enorme calo delle emissioni, che saranno ridotte di un terzo grazie all’utilizzo di centrali a ciclo combinato alimentate a gas naturale, un percorso temporaneo verso una soluzione basata al 100% su fonti rinnovabili.
Nonostante le apparecchiature di disinquinamento installate, la centrale a carbone di Pego è stata anche una significativa fonte di emissione di vari inquinanti, come ossidi di azoto, anidride solforosa, particelle e metalli pesanti, le cui quantità rilasciate in atmosfera subiranno una riduzione importante.
La centrale termoelettrica di Pego.
La fine dell’attività di questo impianto pone ora la questione delle alternative, con l’utilizzo della combustione di biomasse come una delle soluzioni possibili, ma non sostenibili, come avverte Zero. «Si tratta di una soluzione inefficiente e contraddittoria e non si traduce in un valore aggiunto significativo rispetto ad altre soluzioni di mitigazione del clima», afferma. L’associazione ambientalista auspica che la Centrale di Pego venga riqualificata in progetti di utilizzo di fonti energetiche rinnovabili senza considerare in alcun modo la possibilità di bruciare biomasse.
Gli ambientalisti mettono in guardia anche dalla scarsità di biomassa forestale rimanente nel territorio nazionale, visto che entro un raggio di intervento di 80 chilometri sono già innumerevoli gli impianti a biomasse e le industrie forestali che si contendono il materiale residuo. Inoltre, lo spirito della recente proposta della Commissione europea del luglio 2021, comunicato nel pacchetto “Fit for 55”, è che “al 31 dicembre 2026, (…) gli Stati membri non potranno sostenere la produzione di energia elettrica da biomasse forestali in impianti esclusivamente elettrici”.
In tal senso, Zero si interroga su come verrà applicato il Fair Transition Fund presso gli stabilimenti di Sines e Pego e presso la raffineria di Matosinhos, e difende un piano per rafforzare la vitalità economica e sociale delle regioni colpite, promosso dalle aziende coinvolte.
I timori sono fondati: l’impianto da 682 megawatt di Pego potrebbe essere riconvertito in una centrale che brucerebbe pellet di legno, secondo una delle opzioni messe sulla bilancia dal governo, anche se il ministro dell’Ambiente João Pedro Matos Fernandes ha fatto sapere che potrebbe anche lasciare il posto a un sito produttivo di pannelli solari oppure di veicoli elettrici.